Il peperoncino è glocal, democratico, gourmet e… calabrese!

  admin   Ott 02, 2016   Editoriale   0 Comment

Il Peperoncino, l’americano glocal

Il peperoncino, originario delle Americhe ma poi diffuso e coltivato in tutto il mondo, è il precursore dei prodotti glocal, quelli tipici di un territorio ma nello stesso tempo comuni ad altri luoghi, carichi di sapori e di storie diverse che sono tutte pagine di uno stesso racconto.

Elemento importante nelle civiltà precolombiane che lo coltivavano già 5.000 anni prima di Cristo, era ritenuto frutto sacro ed usato, oltre che nell’alimentazione, anche come moneta di scambio, medicina e afrodisiaco, strumento di magia e di tortura.

Fu Cristoforo Colombo con la scoperta dell’America a portarlo in Europa nel 1493 e a presentarlo ai Reali di Spagna con la convinzione di aver messo le mani su un grosso business che però non ci fu perché nobili e ricchi non ne apprezzarono il sapore piccante e la grande facilità di coltivazione deprezzò il prodotto, bollato oltretutto dalla Chiesa come “suscitatore di insani propositi”.

Dalla Spagna già agli inizi del ‘500 si diffuse rapidamente in Italia e in Europa, dove sino ad allora si conosceva solo il pepe nero importato dall’India, e a più largo raggio sia verso il Nordafrica, che verso l’Oriente. Venne adottato per il condimento e la conservazione degli alimenti dalle classi popolari che non potevano permettersi l’acquisto delle altre spezie, inserendosi perfettamente nelle varie cucine. Non solo le cucine di India, Indonesia e Cina ne sono fortemente caratterizzate ma il peperoncino è diventato un elemento identificativo della cucina del Mediterraneo, dalla Spagna e  Francia che hanno ottenuto per i loro  Pimiento del piquillo e Peperoncino di Espelette il marchio europeo di qualità, all’Italia, dove è molto usato soprattutto nelle regioni meridionali, al Nordafrica, dove è alla base della harissa, la salsa piccante di uso comune. Oggi è l’alimento più utilizzato dopo il sale marino.

È la capsaicina che fa “bruciare”

Il suo nome scientifico è Capsicum che secondo alcuni deriva dal latino capsa, scatola, riferito alla particolare forma del frutto che al suo interno racchiude i semi. Per altri, invece, deriva dal greco kapto, mordere, facendo riferimento al piccante che “morde” la lingua quando lo si mangia.

La piccantezza, che viene misurata solitamente con la scala Scoville, dal nome del chimico americano che la ideò nel 1912, è determinata dalla capsaicina e da altre sostanze, i capsaicinoidi, ognuna con una piccantezza relativa e un sapore diversi in bocca: la variazione nelle proporzioni di queste sostanze determina la variazione delle sensazioni suscitate dalle diverse varietà. Agiscono stimolando i recettori dolorifici della lingua e delle mucose e producendo la vasodilatazione dei capillari superficiali. La capsaicina si concentra soprattutto nella parte superiore del frutto ed è contenuta maggiormente nella placenta, ossia in quei filamenti bianchi che si trovano in alto, vicino al picciolo e ai semi, per cui per attutire la piccantezza basterà eliminare questa e non i semi, contrariamente a quanto si pensa.

Per spegnere il bruciore causato da un’eccessiva piccantezza non serve l’acqua ma grassi o alcool che riescono a sciogliere bene la capsaicina, il latte e i prodotti derivati, meglio se morbidi o liquidi, che la rimuovono dai recettori nervosi, o la mollica di pane per rimuoverla meccanicamente dalla bocca.

Il frutto consumato fresco ha aroma e sapore più intenso, essiccato e macinato è più piccante. Il grado di piccantezza però non dipende solo dalla varietà di peperoncino scelta, ma aumenta con la maturazione ed in condizioni di stress ambientale come la carenza d’acqua.

Il record di piccantezza prima detenuto dall’Habanero, molto amato dai gastronomi perché profumato, oggi è del Carolina reaper ma la corsa ai record sembra non arrestarsi, spesso dimenticando che nel peperoncino contano anche i profumi e gli aromi.

Peperoncino come cura

Il peperoncino, oltre al gusto, possiede importanti proprietà nascoste: ha un effetto antibatterico, importante nella conservazione dei cibi, e perciò è tra le spezie più utilizzate nelle regioni dal clima caldo; è ricco di vitamina C, antiossidante e antinfiammatorio e numerosi studi sono in atto per certificarne tutte le sue proprietà benefiche. La medicina Ayurvedica lo consiglia per il trattamento delle ulcere peptiche. È molto ricco di vitamina E ma ancora nessuno studio ne ha dimostrato le  presunte proprietà afrodisiache. Certo è che moltissime tradizioni medicinali popolari lo usano come rimedio.

Da spezia dei poveri ad ingrediente gourmet

È la cucina il suo regno dove dall’America Latina, all’Africa, all’Asia, al Mediterraneo, ha dato sapore e personalità alla cucina povera diventando un condimento molto popolare, l’elemento principale di preparazioni caratterizzanti le diverse gastronomie territoriali.

Proprio per il suo diffuso impiego nella cucina popolare è diventata la “spezia dei poveri” e perciò ignorata dai grandi cuochi e mai presente nei ricettari che fanno riferimento alla cucina ricca delle classi abbienti. Fanno eccezione, a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, due gastronomi attenti sia alle novità della cucina italiana e francese sia alla tradizione della cucina popolare del sud d’Italia: Vincenzo Corrado, che propone nel suo ricettario il “Peperoncino in addobbata”, una salsa a base di vari ingredienti con la quale veniva riempita la testa del capretto e nel trattato “Del cibo pitagorico, ovvero erbaceo”, otto ricette con i peperoni, e Ippolito Cavalcanti che nel trattato “La cucina teorico pratica”, propone peperoni dolci e peperoni piccanti in una “Zuppa di soffritto” e nel “Piatto d’erba stomatico”.

Non viene però citato né da Brillat-Savarin nella “Fisiologia del gusto” né da Pellegrino Artusi  nelle ricette de “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” e bisogna aspettare gli inizi del Novecento perché si affermi nella gastronomia di più alto livello. Fa il suo ingresso con Filippo Tommaso Marinetti che, inaugurando la Taverna Santopalato, nel primo pranzo futurista dell’otto marzo 1931, propone un antipasto “intuitivo” con peperoncini verdi all’interno dei quali sono nascosti biglietti con frasi di propaganda futurista.

È in tempi più recenti che si afferma definitivamente tra i gastronomi di fama che riconoscono il suo ruolo di grande insaporitore, già noto da secoli, in tutto il mondo, ai popoli di tante diverse civiltà. Non esistono limiti in cucina alla sua utilizzazione perché sta bene in tutti i piatti dei quali, se usato del giusto tipo e nella giusta quantità, non smorza il gusto ma  esalta i sapori. Non solo “… può stare divinamente su qualsiasi sugo, in qualsiasi intingolo”, come afferma il famoso gastronomo Vincenzo Buonassisi, ė presente nelle ricette gourmet di chef stellati a partire dagli Spaghetti freddi infuocati di Gualtiero Marchesi, ma trionfa nell’abbinamento al gusto dolce e al cioccolato.

 

 

Che tipo il calabrese!

In Italia quando si parla di peperoncino è immediata l’associazione all’aggettivo ‘calabrese’. Ė la  Calabria la regione dove se ne consuma di più ed è sempre ampiamente presente, fresco o essiccato e poi macinato, nei piatti identificativi e nei prodotti tipici della cucina tradizionale, come la sardella o la nduja.

La sua diffusione in questa terra, favorita dal clima e dal tipo di terreno, fu rapida e subito estesa tanto che già sul finire del XVII secolo i viaggiatori stranieri che vi arrivavano, nelle loro annotazioni di viaggio, scrivevano del tipico uso del peperoncino nell’alimentazione. Indicato alla fine del secolo successivo come “il lardo della povera gente”, è stato sempre importante non solo come condimento economico ma anche per la conservazione di carne e pesce e per la produzione di formaggi tipici.

Viene coltivato ovunque, dalle zone costiere sino alle aree collinari e montane e chiamato in tanti modi diversi, diavulillo, cancarillo, pipi vruscente, pipazza a seconda del dialetto delle varie aree geografiche e della forma della bacca, tutte dimostrazioni di una profonda permeazione nella cultura popolare locale che gli riconosce virtù terapeutiche, afrodisiache e corroboranti, propiziatorie e scaramantiche.

Oggi si assiste ad una moltiplicazione di prodotti a base di peperoncino che si sovrappongono a quelli della tradizione, dalla pasta ai prodotti da forno, dai distillati al cioccolato e alle conserve che individuati come prodotti “di Calabria” riaffermano il suo essere elemento identificativo unitario del  territorio.

Per il Peperoncino di Calabria è in corso di approvazione il riconoscimento IGP da parte dell’Unione Europea, a tutela della sua particolare qualità dal sapore notevolmente piccante e al tempo stesso aromatico.

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